lunedì 10 settembre 2012

La torta che non ti aspetti




La torta oggetto del post stava per finire nel cestino.
Nella mia mente era perfetta, la sua riuscita sublime, e invece un inatteso cambio di programma mi ha costretto a rivederla del tutto.
È stata mia madre a chiedermi un dolce che risolvesse i cali di zucchero della sua collega, e io, prontamente e decisa a difendere la salute pubblica (mia madre è infermiera di pediatria) ho inforcato il mio grembiule da cucina (io lo inforco, non lo indosso, perché quando lo tiro via dal gancio in cucina sembra che mi stia preparando a partire come crocerossina per il fronte) e ho spalancato la dispensa. L’idea originaria era una rivisitazione della classica torta “giorno e notte”, ma come dicevo prima i cambi di programma sono stati il leit motiv di questo dolce, perciò ho virato su un autentico classico della pasticceria casalinga: la quattro quarti. Da interpretare, come ovvio, secondo l’umore della sottoscritta che già immaginava una versione alla mandorla con un lieve sentore di fine estate. L’ingredientistica prometteva bene, ma in quanto al resto non potevo fare scelta peggiore.
D’altronde ero convinta che con la quattro quarti non avrei potuto sbagliare, ma che “la strada per l’Inferno sia lastricata di buone intenzioni” è una verità che non appasisce mai, e ahimè, io avrei dovuto tenerne conto. La scelta di questa torta tuttavia è stata un processo naturale, semplice come sorridere di fronte a un cielo azzurro; questo dolce è quello che si trovava in tutte le case quando al pomeriggio noi bambini tornavamo da scuola con la testa piena di simboli matematici e storie di enormi piramidi costruite sulle rive di un fiume magico, magari mano nella mano con l’amica del cuore.
La quattro quarti era lì ad aspettarci sul suo vassoio dorato, protetta sotto la campana di vetro per non far svanire l’odore e mantenerla sempre morbida; vegliava sul chiacchiericcio continuo dei bambini e sulla buona riuscita delle ricerche scolastiche, quelle per cui le maestre dividevano la classe in piccoli gruppi, le stesse per le quali le nostre madri allestivano banchetti improvvisati per i piccoli ospiti. In quelle ricche merende lei c’era sempre, non mancava mai.
Quando arrivava il momento di fare una pausa dai libri mia madre ci riempiva i bicchieri di latte o succo di frutta e sollevava la campana distribuendo ai presenti una fettina di torta, ma piccola, perché dopo il primo assaggio era raro non chiedere il bis. Dopo ci spediva tutti in bagno a lavarci le mani, perché con le dita sporche era impossibile tornare a lavorare, e riprendevamo a studiare. Allora smaniavo per liberarmi uan volta per tutte di quei rituali infantili, ma oggi rimpiango ancora quei pomeriggi.
E così la mia infanzia, di cui questa ricetta fa parte.
È arrivata prima delle merendine industriali, magari non proprio salutari ma così comode per tante madri sempre di corsa, direttamente dal passato delle nostre nonne, donne con il viso pieno di rughe e fatica ma con il cuore sempre pronto a donare.
È stato proprio per questo, per le nonne che non ho mai conosciuto, che ho deciso di preparare questo dolce; lo avrebbero mangiato anche i bambini ricoverati nel reparto in cui lavora mia madre (lei non mangia dolci ma le piace coccolare i suoi pazienti), per cui volevo regalare loro lo scorcio di un tempo che forse non assaggeranno mai.
Quel tempo diviso tra una carezza data da un paio di mani sporche di farina e l’avvento dei personal computer.

TORTA NOSTALGIA
Ingredienti:
250gr di uova (pesate con il guscio)
250gr di burro morbido
250gr di zucchero
230gr di farina integrale
50gr di farina di mandorle
70gr di mandorle in granella
20gr di lievito per dolci
aroma naturale di vaniglia
aroma naturale di mandorla
2 pesche
250gr di zucchero a velo

Preriscaldare il forno a 180°.
In una ciotola lavorare lo zucchero e il burro sino a ottenre una crema chiara e spumosa. Unire all’impasto ottenuto i tuorli (ma uno alla volta e senza aggiungere il seguente prima di aver amalgamato perfettamente il composto, altrimenti vedrete centinaia di grumi affiorare in superficie e distruggere il vostro lavoro!), aggiungere la farina setacciata, la farina di mandorle, la granella, il lievito e gli aromi, e in ultimo gli albumi montati a neve avendo cura di mescolare delicatamente dal basso verso l’alto per non smontarli. A parte sbucciare e tagliare due pesche in fettine sottili. Giunti a questo punto versare l’impasto in una tortiera da 26 cm di diametro (non fate il mio errore, pena lo straripamento della vostra creatura dallo stampo), disporre le pesche in cerchio e cuocere per circa 45 minuti.
Il mio errore, come dicevo, è stato proprio questo: scegliere la tortiera sbagliata. Ho pensato che potesse andar bene una da 24cm, ma quando una volta trascorso il suo tempo di cottura ho aperto lo sportello del forno sono quasi svenuta. La torta era straripata dallo stampo.
Un disastro, su tutta la linea.
Io non so voi, ma quando succede una cosa del genere la mia prima reazione è quella di tirare la torta fuori dal forno e gettarla senza rimorso nella spazzatura. Sono stata tentata anche stavolta, lo ammetto, ma dopo la prima ondata di furia cieca sono uscita dalla cucina per tornarci solo dopo un po’. Avevo bisogno di tempo per elaborare la rabbia per un dolce che avevo preparato con amore finito fuori dallo stampo, per la decorazione di pesche sprofondata nell’impasto. Dopo un bel respiro sono tornata in cucina e le ho rivolto un’occhiata dalla porta, guardinga, e lì è accaduto qualcosa che non mi aspettavo. A volte basta davvero spostarsi di un centimetro per vedere il mondo sotto un’altra luce.
È successo anche alla mia torta, che seppure non fosse la canditata vincente al primo premio per “il dolce dell’anno” meritava una seconda opportunità. Chi, del resto, non ne ha mai voluto avere una?
Senza pensare oltre perciò mi sono data un pizzico alle guance, ho ripreso il mio grembiule e ho deciso di rendere giustizia alla principessa nascosta sotto volute di impasto. Ho rifilato la parte superiore della torta con un coltello da pane, in una ciotolina ho mescolato lo zucchero a velo con aromi e acqua calda sino a ottenere una pastella che scrivesse e l’ho versata sulla torta, che ho poi impreziosito con dei confettini rosa pallido.
Il risultato è una torta imperfetta, lontana anni luce dai capolavori in ghiaccia reale che tappezzano le edicole di tutte le città, ma è la mia torta, perché in fondo anch’io sono un po’ come lei: shabby chic. Ho qualche rotondità di troppo, capelli ribelli e un carattere per niente facile, ma sono io. Sono viva, con tutti i mie difetti. 
E con tutta la voglia di continuare a pasticciare.

12 commenti:

  1. Che torta meravigliosa1 :)
    Sono passata per caso dal tuo blog, e mi sembra di essere entrata in una favola a tutto dolce:)
    A prestissimo!
    Noemi
    www.nelly-bacididama.blogspot.it

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    1. Grazie, ma la torta è davvero un'opera improvvisata...è nata così, spontaneamente, ma sono felice che ti piaccia! A presto!

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  2. Deliziosa torta e delizioso post :) Complimenti di vero cuore! Un bacione, buona giornata!

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  3. Bel post tanti i ricordi che hai fatto affiorare nella mia mente mentre ti leggevo....
    Comunque si sa che non tutte le ciambelle riescono col buco, in cucina poi....l'importante è rimediare con eleganza e tu mi pare ci sia riuscita alla grande!
    Ciao a presto.

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    1. Ciao Lorena...rimediare con gusto? Be', io ci ho provato, e sapere che i miei sforzi di rimediare al disastro abbiano ottenuto un piccolo successo mi rende davvero felice!

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  4. Mi è piaciuto molto il ricordo delle merende della tua infanzia e il racconto della preparazione della torta (come capisco la tua rabbia di fronte ai disastri in cucina...).
    Un grazie alla tua mamma (un lavoro prezioso e difficile il suo!) per quello che fa per i suoi piccoli pazienti.
    Claudette

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    1. Riferiò i ringraziamenti, mia madre apprezzerà di sicuro! Riguardo i disastri culinari...come si fa a non arrabbiarsi dopo aver speso tante energie e passione per creare qualcosa di buono? Un bacio e a presto!

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  5. Che storia questa torta.. Una torta così spazza via la concorrenza di qualsiasi merendina industriale!
    Spezzo una lancia a favore della tua mamma, impegnata e altruista:)
    Mi piace molto il tuo blog, ti seguo con piacere!
    Baci

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    1. Grazie per i complimenti, ma credimi, me ne merito appena la metà. Il merito è tutto di mia madre e della sua passione per la cucina, che ha saputo trasmettermi non appena ho imparato a tenere un cucchiaio in mano. Se non ci fossero state le mamme, sempre così disponibili e pazienti, chissà che fine avremmo fatto, non credi?

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  6. Ciao, bella ricetta e bel racconto, anche mia madre faceva dei dolci buonissimi quando ero a scuola, conosciuti un po da tutti in paese. Ma il mio racconto differisce dal tuo per il fatto che ne prima ne dopo tornavo a studiare! :-)
    Complimenti anche per il tuo bel blog, ciao!

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    1. Be', la scuola non è tutto...e poi se ti è rimasta la passione epr la cucina vuol dire che non eri proprio del tutto impermeabile ad apprendere! In fondo saper pasticciare è un talento come la matematica e la letteratura, no? Un abbraccio e a presto!

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